Il digiuno del Venerdì Santo, alcuni lo fanno e altri invece non ne vedono l’utilità: ci sono molte cose che devi sapere
I quaranta giorni che precedono l’arrivo della Santa Pasqua vengono vissuti da tutti i fedeli come un vero e proprio periodo che ti aiuta a prepararti all’arrivo di questa festività, ma anche come una sorta di conversione. Ci sono tante pratiche che vengono messe in atto in questo periodo ma una delle più note a tutti è il digiuno, che viene interpretato sempre in modo differente da persona a persona. In primo luogo bisognerebbe capire che origine e soprattutto che significato ha questa scelta, e se è davvero qualcosa che può farci sentire più fedeli di altri che invece decidono di astenersi. A questa domanda risponde il noto Teologo Rinaldo Falsini, che ha chiarito anche una volta e per tutte se è vero che i papi hanno imposto di mangiare il pesce in quaresima invece della carne per favorire i commerci del porto di Civitavecchia, in quello che un tempo era lo Stato Pontificio.
Si tratta di una domanda piuttosto bizzarra se pensiamo a quanto siano serie queste tipo di tradizioni, soprattutto dal momento in cui sono cose molto antiche. Nessun Papa infatti ha emanato delle disposizioni di questo tipo e si dice che il pesce in questione era d’acqua dolce, dunque è questo il motivo, secondo le testimonianze del monastero di Subiaco dal secolo XIV, per cui era permesso mangiarlo.
Venerdì Santo e digiuno: ci sono tante cose che devi sapere su questo argomento
L’astinenza dal cibo, in modo particolare quella che riguarda la carne, risale all’Antico Testamento e per alcune circostanze allo stesso mondo pagano, però c’è da dire che ha avuto un maggiore sviluppo nel monachesimo cristiano d’Oriente e Occidente. Una severa alimentazione aveva come scopo quello di imparare a combattere le tentazioni, proprio per questo motivo si trattava anche di una prassi quasi metaforica, che favoriva il dominio spirituale del corpo.
Bisogna anche mettere in chiaro che il digiuno con l’astinenza, ovvero assumendo soltanto un pasto al giorno, è congiunto alla preghiera a Dio e all’elemosina: tre elementi che contrassegnano la pratica penitenziale della Chiesa.
Si tratta infatti di una penitenza in cui è coinvolto il uomo nella sua totalità di corpo e di spirito, è un modo anche per collegarsi addio e chiedergli scusa per i peccati, ringraziandolo e rendendo di lode.
Ma per far sì queste tre espressioni rientrino nella prassi penitenziale della Chiesa ovviamente bisogna esserci un fondo di anima cristiana, ma in generale religiosa. Comunque sia bisogna mettere in chiaro che Dio non impone una vera e propria pratica di digiuno, si limita infatti a ricordare la necessità contro tutto ciò che è male. Non dimentichiamo che furono quaranta giorni di digiuno che precedettero le tentazioni nel deserto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
Il riferimento a Gesù che ha sacrificato la sua vita e si è ritrovato poi nella risurrezione è davvero molto importante per spiegare il senso del digiuno e dell’astinenza, che trova la sua dimensione sotto la forma della mortificazione. Nella tradizione cristiana i cristiani hanno trovato tante nuove forme di penitenza e per digiuno si intende assumere un solo pasto durante la giornata, per poi ritrovarsi la sera a pregare e ad ascoltare la parola di Dio.
Queste tre cose di cui vi abbiamo appena parlato (preghiera, digiuno, misericordia) secondo san Pier Crisologo devono essere intese come una sola cosa e non vanno divise per nessuna ragione al mondo. Dunque proprio per questa ragione molti fedeli in questi giorni si ritrovano a digiunare, perché lo vedono un modo per rendere grazie a Gesù per aver sacrificato la propria vita per l’umanità, dunque un sacrificio davvero piccolo in confronto a quello che ha fatto lui. Si tratta di una specie di simbolo, la dimostrazione della propria riconoscenza verso il Dio in cui si crede. Ovviamente, non sottoporsi ad una cosa del genere, non significa certamente non essere abbastanza fedeli, ma solamente non credere alle origini di tale usanza.